Il 4 ottobre si celebra San Francesco d’Assisi, protettore di commercianti, cordai, ecologisti, floricoltori, mercanti, tappezzieri e poeti. Egli era figlio di Pietro di Bernardone, un tessitore e mercante di stoffe e di madonna Pica. Ebbe una vita giovanile spensierata e mondana e, successivamente, si convertì al Vangelo, vivendo nella povertà, nella obbedienza a Dio e nella castità. Insieme ai primi “Fratelli”, che lo seguirono, predicò il messaggio di amore e di pace annunciato dal Signore, contribuendo al rinnovamento della Chiesa. Fondò l’Ordine dei Frati Minori o Frati Francescani approvato da Papa Innocenzo III. Nel settembre del 1224, sul monte La Verna, dove si era ritirato insieme ad alcuni dei suoi primi compagni, ricevette le stigmate, segno visibile della sua identificazione con Gesù Cristo. Ma da quel luogo di esperienze mistiche dovette scendere perché gravemente malato (gli era quasi scomparsa la vista ed era estenuato da ripetute emottisi). Morì all’età di 44 anni la sera del 3 ottobre 1226 nella Porziuncola. Il 16 luglio 1228 Papa Gregorio IX, alla presenza della madre Pica, di altri parenti e del Vescovo di Assisi, che lo aveva accolto nudo sotto il suo mantello, lo iscrisse all’albo dei Santi. Papa Pio XII, nel 1939, lo proclamò Patrono d’Italia. I resti mortali di colui che è diventato noto come il “poverello d’Assisi” sono venerati nella cripta inferiore della Basilica a lui dedicata ad Assisi.
Nel Testamento e nel “Cantico delle “Creature”, che Francesco compose in un eremitaggio presso il convento di S. Damiano, confortato e sostenuto dalla preghiera di Chiara e delle sue sorelle, manifestò il suo amore per Madonna Povertà e la sua lode a Dio per le opere da Lui create. San Francesco fu anche chiamato “Giullare di Dio” perché fu un uomo gioioso, di grande cuore, che amò e rispettò la natura e diffuse un messaggio un messaggio di pace e di fratellanza universale. Francesco, che curò i lebbrosi, si svestì di tutti i suoi beni e portò sul suo corpo i segni della croce, è ricordato, nella devozione popolare, anche per il miracolo del feroce lupo di Gubbio reso da lui mite come un agnello, per la letizia del canto, per il dialogo con gli uccelli e per la realizzazione del primo Presepe vivente a Greccio.
Nella città di Nardò S. Francesco d’Assisi è venerato nell’omonima chiesa sita in Largo Cappuccini. A Nardò il primo insediamento dei Frati Cappuccini ebbe inizio nel 1569 grazie al duca Giovan Bernardino II Acquaviva d’Aragona. Il duca offrì loro un terreno per la costruzione di un convento e di una chiesa. Il luogo rispondeva ai requisiti richiesti dai frati perché si trovava nei pressi di un’ importante falda acquifera e a circa mezzo chilometro dal centro abitato. Il precetto della Regola di non usare cavallo o carrozza se non per “manifesta necessita ovvero infermità”, costringeva i Frati a lunghe camminate. Per questo motivo era necessario costruire il convento ad una distanza percorribile in un giorno in modo tale da poter svolgere la missione della predicazione e dell’assistenza ai bisognosi e rientrare nel convento la sera. Inoltre il convento doveva essere di piccole dimensioni e realizzato con materiali poveri ( conci di tufo, calce mescolata con la terra) “per non somigliare ai palazzi dei ricchi”, così come aveva raccomandato Francesco. All’interno di tale insediamento la comunità cappuccina visse la Regola francescana, la vita quotidiana scandita dal lavoro e dalla preghiera, il servizio verso gli altri, l’impegno con la propria testimonianza nel contesto cittadino, in un’epoca segnata da ingiustizie, carestie e contraddizioni sociali. Anche la chiesa fu costruita seguendo un modello architettonico prestabilito per tutti gli insediamenti cappuccini: piccola e proporzionata, povera, a una sola navata, senza fregi di illustri famiglie e senza altari privilegiati ma solo con lo stemma francescano. Unico gioiello il tabernacolo ligneo, pregiato e artistico.
I frati indossavano un ruvido saio di colore marrone, a forma di sacco, con delle maniche larghe e legato alla vita con un cingolo, un lungo cordone con tre nodi che simboleggiavano i voti della Povertà, dell’Obbedienza e della Castità. Avevano il cappuccio lungo e aguzzo, una scura bisaccia di iuta, “la sporta”, una lunga barba incolta, il crocifisso, le figurine dei Santi e della Madonna. Camminavano con il viso basso, sprofondato nel cappuccio e il rosario avvinghiato tra le mani. Facevano la spola ogni giorno tra il centro e la periferia, a piedi. Passavano nei vicoli del paese e nelle campagne per “la cerca”, la questua. Prendevano tutto: legumi, fichi, noci,verdura, qualche tozzo di pane e avanzi eccetto carne, uova e denaro. In cambio pronunciavano il tipico saluto francescano augurando “pace e bene”. Vivevano di elemosina, lavoravano l’orto e svolgevano le faccende quotidiane. Presso il loro convento e la loro chiesa bussavano ogni giorno i poveri ai quali offrivano sostentamento materiale e spirituale, un letto pronto e il fuoco acceso, accoglienza e riparo nella foresteria del convento. Gli ideali evangelici di San Francesco furono diffusi a Nardò attraverso l’operato dei Frati Cappuccini che, al suono di una campanella, richiamavano sul sagrato i fedeli per invitarli alla preghiera.
Dal 1569 al 1866 (anno delle soppressioni degli Ordini religiosi) i Frati Cappuccini svolsero sul territorio neretino attività di apostolato, dedicando tempo e cure agli ammalati, alle famiglie in difficoltà, alla conversione e alla diffusione tra il popolo del Vangelo. I Frati sono stati per i neretini un segno tangibile della testimonianza francescana.
Nonostante siano trascorsi tanti secoli il messaggio di Francesco è sempre attuale e capace di rinnovare il cuore di ogni uomo.
Mariella Adamo e Lucia Bove