Continua il lavoro della Diocesi di Nardò-Gallipoli per valorizzare il patrimonio culturale e per contribuire alla riqualificazione del centro storico . Dopo circa sessant’anni finalmente il 20 giugno torna alla fruizione della città e dei fedeli la chiesa di San Trifone, uno dei tesori d’arte del centro storico cittadino, ubicata in uno dei punti più strategici quale è la piazza principale intitolata ad Antonio Salandra.
Il vescovo Fernando Filograna presiederà la riapertura, evidenziando con la sua presenza un momento così importante e di speranza viva per tutta la Chiesa.
Chiusa nel 1959, a causa di infiltrazioni piovane, la copertura minacciava di crollare e fu necessario chiudere il tempio al culto per le opportune riparazioni edili e impiantistiche, che si conclusero nel 1964. Dopo qualche anno fu nuovamente chiusa per urgenti restauri, conclusi nel 1997 e poi ripresi negli anni seguenti per altre emergenze interne relative alla copertura in legno e alla sicurezza strutturale messa a rischio per alcune infiltrazioni d’acqua. Più recenti gli interventi riguardanti l’impianto elettrico, gli infissi e la nuova tinteggiatura.
Grande soddisfazione anche da parte del parroco della Cattedrale don Giuliano Santantonio, che è anche padre spirituale della confraternita presente nella chiesa, oltre che direttore dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Nardò-Gallipoli.
La chiesa fu edificata nei primi decenni del XVIII secolo, essendo vescovo Antonio Sanfelice (1708-1736). Si ignorano le origini della devozione cittadina verso questo santo, giovane greco (Kampsada, 232-Nicea 250) di fede cristiana che subì il martirio con decapitazione al tempo della persecuzione dell’imperatore Decio (249-251), avendo abiurato il paganesimo.
Il santo è festeggiato il 10 novembre, che corrisponde al giorno della traslazione del suo corpo a Roma, ove fu deposto in una chiesetta a lui dedicata in Campo Marzio, nel sec. IX.
Del tutto infondata la tradizione che lo vuole liberatore di un’invasione di bruchi di poco precedente alla costruzione della chiesa. Il suo culto in città era infatti molto più antico, visto che nel 1543 in Cattedrale già esisteva un altare a lui dedicato, di patronato dei nobili De Persona, collocato vicino alla sacrestia e poi rimosso con le modifiche apportate dal vescovo Ambrogio Salvio (1569-1577).
Nella visita pastorale del vescovo Luigi de Franchis (1611-1616) del 1613, ma anche in quella del vicario Granafei del 1643, con questa dedicazione sopravviveva un oratorio. Il De Franchis volle dotare la Cattedrale di un reliquiario ligneo a forma di braccio per contenere una vecchia reliquia del dito medio del santo.
La chiesa è realizzata in tufo, con una facciata sobria ma elegante che si inserisce bene nel contesto urbanistico in cui sorge; si sviluppa in due ordini sovrapposti rettilinei, separati da elegante fregio con inserti ornati con festoni a rilievo e con cornice aggettante dentellata. Assai probabile che il livello superiore sia successivo al sottostante, ricostruito dopo il terremoto del 1743.
La parte centrale del prospetto, che comprende il portone ligneo di ingresso e il finestrone centrale, è delimitata da due lesene sovrapposte, sormontate da capitelli in stile corinzio.
I due corpi laterali ospitano quattro nicchie ad arco semicircolare sovrapposte e solo in apparenza uguali, tutte vuote, delle quali le inferiori sovrastano ognuna un cartiglio quadrangolare con epigrafi ormai illeggibili.
L’interno risulta formato da un’aula unica a pianta rettangolare con copertura lignea a capriate; per questa particolarità risulta unico di tal genere tra le chiese minori della città.
La navata lungo tutta la fascia perimetrale presenta una cornice aggettante ed è scandita da semi colonne a sezione rettangolare con capitello ionico, che definiscono tre arconi disposti simmetricamente sui due lati, forse destinati ad altari laterali.
L’illuminazione è garantita dalle sei finestre emisferiche, oltre al finestrone posto sul prospetto principale, che sono in corrispondenza degli arconi.
Sulla parete di fondo del presbiterio, di fronte all’ingresso, trova posto la macchina d’altare in pietra leccese, imponente e scenografica, provvista di mensa e dossale ed inquadrata da volute laterali, come è pure il paliotto. E’ dedicato al santo martire Trifone, raffigurato nella bella tela dipinta ad olio, che è opera del pittore Nicola Maria Rossi (Napoli, 1690 – 1758), discepolo di Francesco Solimena. Il giovane santo con tunica verde e mantello rosso è rappresentato a piedi scalzi e a figura intera, di profilo e in ginocchio sulle nubi, affollate da locuste. In atteggiamento di preghiera, alle spalle del santo un angelo paffuto regge la palma del martirio, simbolo di vittoria e di immortalità; un altro è raffigurato in alto mentre gli colloca una corona sul capo.
Dello stesso secolo dovevano essere la pittura policroma della Madonna della Grazia, sovrastante la tela del Titolare e che occupava lo spazio entro la cornice modanata tuttora visibile. Un altro dipinto, attribuito a Ferdinando Sanfelice, era collocato su un piano ligneo adeso alle capriate e raffigurava il protettore cittadino San Gregorio Armeno.
In uno degli arconi era collocata una statua di legno policromo firmata dello scultore partenopeo Giovanni Bonavita raffigurante San Trifone a mezzo busto, con base dorata e reliquia nel petto, oggi restaurata ed esposta nel museo diocesano di Nardò.
Sul lato sinistro dell’edificio una piccola porta immette nella sagrestia, nella quale sopravvivono su una parete lacerti di affreschi sopravanzati dall’antica cappella di S. Eligio alla piazza.
Probabilmente fu lo stesso vescovo Sanfelice a promuovere la fondazione della confraternita, oggi titolata a “San Gregorio Armeno in San Trifone”, che in questa chiesa ha sempre avuto la sua sede e che nei secoli si è preoccupata del suo decoro e mantenimento, oltre a tenere vivo il culto del santo.
(Marcello Gaballo)