San Giuseppe Patriarca era un discendente della stirpe del Re Davide, lo sposo di Maria di Nazareth e il padre putativo (terreno) di Gesù. Egli sarebbe morto, in età avanzata, il 19 marzo e fin dal Medioevo viene celebrato in questo giorno. L’8 dicembre del 1870 Papa Pio IX lo proclamò Patrono della Chiesa Universale e protettore dei padri di famiglia. Il culto di San Giuseppe ha però origini più antiche. I primi a celebrarlo furono i Monaci Benedettini intorno al 1030 e, successivamente, i Servi di Maria e i Monaci Francescani.
San Giuseppe viene sempre rappresentato con un bastone fiorito in mano. Si racconta che San Giuseppe, all’età di circa 30 anni, fu convocato dai sacerdoti al Tempio di Gerusalemme con altri giovani della tribù del Re Davide, per prendere moglie. Giunti al Tempio, i sacerdoti diedero a ciascuno di loro un ramo, dicendo che la giovane ragazza, Maria di Nazareth, avrebbe sposato colui che avrebbe riportato il suo ramo germogliato. Solo il ramo di Giuseppe germogliò. Fu questo il segno miracoloso con cui Dio indicò ai sacerdoti quale dovesse essere lo sposo di Maria.
Si narra che San Giuseppe, dopo la fuga in Egitto insieme a Maria e a Gesù, per riuscire a mantenere la sua famiglia in terra straniera, dovette vendere dei dolci fritti. Per questo motivo la zeppola è il dolce tipico della festa di San Giuseppe.
Nel passato a Nardò (città della provincia di Lecce) sette giorni prima della Festa di San Giuseppe iniziava il “Settenario” a lui dedicato. I fedeli in chiesa recitavano il Rosario, cantavano le Litanie e ricevevano la benedizione Eucaristica. La vigilia della festa per le vie della città si svolgeva la Processione a cui partecipavano i congregati della confraternita di San Giuseppe. Le donne erano vestite di nero con al collo un medaglione raffigurante il Santo. Gli uomini indossavano una tunica bianca con il cappuccio e la “mozzetta”, che era una mantellina gialla. Le porte delle case erano illuminate con luci, le strade erano addobbate con lumini e piante e i balconi con le più belle tovaglie di corredo, oppure con lenzuola di lino ricamate a mano o con copriletti damascati. La festa durava dai dieci ai quindici giorni. Si svolgeva vicino alla chiesa di San Giuseppe, in Via Lata e nelle vie adiacenti a Piazza Castello dove era allestito “lu panieri”. I cittadini affollavano “lu panieri” per osservare le varie mercanzie esposte sulle bancarelle. C’era la “fera ti li cumitati” in cui si vendevano soprattutto vari oggetti artigianali di terracotta realizzati secondo l’arte Figula salentina, che si tramanda da generazioni. Si potevano acquistare: “li capase” (i recipienti per la conservazione di alcuni alimenti ); “li ozze” (i vasi alti e capienti per la conservazione del vino”; ”li limbi”(i catini di creta); “li pignate”(i recipienti in cui venivano cotti i legumi);“lu cofanu”(il recipiente in cui si faceva il bucato); ”lu ursulu”(il recipiente con cui veniva attinta l’acqua);“lu furone”(il salvadanaio); “la lucerna”(la lampada ad olio); ”lu cantaru”(il vaso da notte); ”la trenula” (una specie di trottola, che emana un fragoroso gracidio); ”li sciucarieddhri”(i piccoli giochi);”li quataruttieddhri”(i piccoli tegami);”li pignaticchi”(le piccole pentole),”li giucculatere”( i recipienti usati per preparare il caffè o il cioccolato);”li mbuti”,(gli imbuti)”li qualicchi”(i piccoli recipienti per contenere l’acqua o il vino)”;”la sciumbareddhra” (la trombetta);”l’organettu”(l’organetto),” “li campanieddhri”(i campanellini); “lu iaddhru ”(il gallo pennuto, animale forte e dominante, simbolo di virilità ed energia, un portafortuna) e “lu Carabinieri cu lu fischettu…”(la statuetta raffigurante il Carabiniere con il fischietto…).
La statuetta del Carabiniere con il fischietto…in alta uniforme comparve nelle fiere della provincia di Lecce nei primi anni dell’Unità d’Italia. Dopo la cacciata dei Borboni dalle Due Sicilie, il nuovo Governo piemontese poiché non aveva mantenuto le promesse fatte, scatenò il brigantaggio e le insurrezioni da parte dei contadini. L’esercito dei Savoia, di cui i Carabinieri facevano parte, placò la rivolta in maniera durissima sopprimendo migliaia di contadini considerati briganti. Perciò, come una sorta di rivincita popolare contro l’autorità, la figura del Carabiniere fu ridicolizzata con la realizzazione delle statuette con il fischietto.
Nella “fera ti San Giseppu” (fiera di San Giuseppe) era possibile acquistare anche oggetti di rame rossa, lampadari, arredi, stoffe e.. animali. Questa festa era attesa dalle massaie per fare rifornimento di piatti e contenitori vari e da coloro che erano prossimi alle nozze per acquistare tutto ciò che serviva per arredare la loro futura abitazione. I ragazzi ne approfittavano per munirsi di “campanieddhri”(campanellini), “fischetti”(fischietti) e “cantarieddhri”(vasi in miniatura) con cui fare gli scherzi a parenti ed amici. Le strade erano pervase dagli odori invoglianti della “cupeta tosta” (croccante a base di mandorle e caramello), degli ”scagliozzi”(biscotti a base di farina, mandorle, zucchero, uova…), della ”scapece” (sardine fritte e lasciate riposare con pangrattato, aceto e zafferano) e delle ”marange”(le merangole, arance dal sapore amaro). Numerose erano le bancarelle che esponevano frutta secca fra cui “li nuceddhre” (le noccioline),”li mendule”(le mandorle), “li nuci”(le noci),li pastiddhre” (le castagne essiccate), “li fiche cu li mendule”(i fichi con le mandorle) ecc.
Vicino alla chiesa veniva allestita la cassa-armonica dove la banda, la sera della vigilia, suonava allietando i presenti. Il giorno della festa, la mattina, li bandisti attraversavano le vie della città e si fermavano in piazza Salandra dove si esibivano con un‘opera sinfonica.
A mezzogiorno del 19 marzo si allestivano “li Taule ti San Giseppu” (le Tavole di San Giuseppe), una tradizione che consisteva in un banchetto ricco di pietanze offerto da una famiglia benestante ad una famiglia povera. In questo modo si realizzava un gesto di carità verso i bisognosi e si faceva un atto di affidamento al Santo intercessore di grazie e miracoli e tanto amato dai neretini.
A pranzo, come primo piatto, si mangiavano “li ciciri e tria” (i ceci e le fettuccine fatte in casa). Coloro che se lo potevano permettere si deliziavano con “li cazzateddhre cu l’uegghiu frittu”(i panetti di forma schiacciata con ingredienti semplici come farina, acqua, lievito e olio fritto) ,”li taraddhri”(i taralli), “la cupeta tosta”(le mandorle caramellate), i cannoli, ”li bocconotti”(i pasticciotti), le bocche di dama e “li zeppule”(le zeppole).
La sera del 19 marzo sulla sommità della scalinata del Castello venivano accesi e fatti innalzare al cielo i palloni aerostatici raffiguranti fiori e preghiere particolari in devozione al Santo e si accendevano i fuochi d’artificio. La banda presentava il suo repertorio migliore.
Le ragazze aspettavano questa festa con trepidazione per poter indossare i vestiti di seta cuciti proprio per l’occasione. Il fidanzato regalava alla fidanzata “lu cantaru chinu ti marange”(il vaso colmo di merangole) come portafortuna o “nu core ti cupeta tosta” (un cuore di zucchero e mandorle caramellate) oppure “li scagliozzi”(i mostaccioli).
Le tradizioni della festa di San Giuseppe continuano ad essere tramandate di generazione in generazione, anche se con il passare del tempo hanno subito dei lievi cambiamenti. Esse sono molto importanti perché rappresentano i valori spirituali, morali e culturali custoditi nella mente e nel cuore dei neretini.
LE RICETTE DEL PASSATO PER LA FESTA DI SAN GIUSEPPE
“Li Ciciri e tria”( i ceci con lasagna fatta in casa”)
Ingredienti: ceci, semola, cipolla, aglio, pepe, pane a pezzetti, alloro.
Preparazione:
cuocere in acqua salata la lasagna , preparata con semola, acqua, sale e lasciata asciugare per alcune ore. Friggere in olio bollente con cipolla o aglio un po’ di lasagna o dei pezzetti di pane. Aggiungere le lasagne ai ceci messi a mollo la sera precedente e cotti a fuoco lento in una “pignata” con alcune foglie di alloro, sale e acqua. Mescolare e condire con il soffritto preparato in precedenza.
“Li zeppule ti San Giseppu”
Ingredienti: 200 g. di olio, 600 g. di acqua, sale q.b., 5oo g. di farina, 10 uova, 2 cucchiai di zucchero, olio per friggere.
Preparazione:
mettere nella casseruola l’acqua e portare ad ebollizione. Togliere dal fuoco la pentola ed unire in un solo colpo la farina, mescolare energicamente per togliere i grumi. Rimettere sul fuoco vivace e mescolare per un paio di minuti fino a quando l’impasto si stacca perfettamente dal fondo e dalle pareti della casseruola e forma una specie di palla. Togliere nuovamente dal fuoco e fare raffreddare. Rompere un uovo e mescolarlo in fretta fino a quando è amalgamato all’impasto. Ripetere con le altre uova. Unire lo zucchero e mescolare ancora per distribuirlo all’impasto. Tagliare dei quadrati di carta da forno di circa 10 cm di lato. In una tasca per dolci mettere alcune cucchiaiate di impasto e formare su ciascun quadrato di carta un anello di pasta dello spessore di cm.2. Mettere in una padella abbondante olio e friggere le zeppole disponendo gli anelli di pasta con tutta la carta su cui sono poggiati. Quando saranno dorati da un lato, rivoltarli con una forchetta dall’altro lato e staccare la carta. Prelevare le zeppole con una schiumarola, farle scolare su carta assorbente e sistemarle in un vassoio dopo averle decorate con un anello di crema pasticcera e con amarene o ciliegie sciroppate.
Mariella Adamo e Lucia Bove