Avete presente quando state lavorando o siete presi da un’attività e iniziate ad avvertire una sensazione a livello dello stomaco, il cosiddetto languorino, ma riuscite a resistere, attendete di portare a termine il vostro lavoro per poi alzarvi e andare a mangiare qualcosa?!
E invece, vi è mai capitato che durante una qualsiasi attività, in un momento qualsiasi, all’improvviso avvertiate l’esigenza impellente di dover mangiare qualcosa, poi arrivate in cucina e non sapete bene cosa volete mangiare?!
Ecco. Nel primo caso è fame, nel secondo caso è voglia.
La fame arriva lentamente, fornisce stimoli e segnali fisici, i segnali del corpo, quindi lo stomaco inizia a brontolare, potremmo avvertire una sensazione di debolezza, potremmo sentirci irascibili. Passa del tempo e noi siamo in grado di attendere, e nel momento in cui mangiamo la fame si placa con qualsiasi cibo.
La voglia, al contrario, giunge all’improvviso e con prepotenza pretende di essere soddisfatta immediatamente. Non è fame, o meglio, è una fame diversa, è la fame emotiva. Giunge perché in quel momento stiamo provando, o abbiamo provato, un’emozione spiacevole, ci sentiamo annoiati, soli, vuoti. Non riusciamo a resistere, ci sentiamo agitati, nervosi e non viene soddisfatta facilmente.
L’unico modo per colmare tutto questo è il cibo. Ma quando giungiamo in cucina iniziamo ad aprire e chiudere le ante della dispenda, lo sportello del frigo o quello del forno. E continuiamo per un po’, apriamo e chiudiamo pensando che prima o poi potremmo trovare qualcosa di buono da mangiare, ma in realtà non c’è, perché non è quello che vorremmo fare in quel momento, non vogliamo mangiare.
E soprattutto, quando proviamo a mangiare qualcosa non ci soddisfa, così mangiamo qualcos’altro e così via, con la speranza di poterci riempire.
Badate bene: riempire, non saziare!
In quel momento ci disconnettiamo, non stiamo più vivendo, ma siamo come in apnea. Tutto si ferma e l’unica spia che si accende è quella del cibo. Pertanto, pur di spegnere questa spia mangiamo la prima cosa che troviamo o quella che ci fa più gola o quella a cui abbiamo resistito per tanto tempo o in varie occasioni.
In quel momento tutto si blocca e siamo solo noi e il cibo. Anzi, c’è solo il cibo. E la nostra emozione.
Siamo guidati da quel senso di vuoto, di solitudine, di nervosismo, di tristezza, o ancora, di gioia, di rilassamento. Ci confortiamo, ci coccoliamo, ci rifugiamo.
Ma in quel momento non stiamo ascoltando il nostro corpo, il nostro stomaco, la nostra fame e sazietà.
Siamo in blackout. Totalmente fuori dalla consapevolezza.
La nostra vita dovrebbe essere fatta di altro: dovremmo poter uscire, fare una passeggiata, ascoltare della musica, ridere, disegnare, baciare… vivere.
Dovremmo poter dare ascolto e darci ascolto. La mindful eating permette di fare pace con le nostre emozioni e con il cibo, insegna ad ascoltare il corpo e abbandonare quei meccanismi disfunzionali che abbiamo instaurato nei confronti del cibo.
Perché abbiamo queste reazioni? Abbiamo mai fatto caso ai pensieri che nutriamo intorno all’idea del cibo?
Sicuramente questi comportamenti derivano da condizionamenti passati, da apprendimenti nel corso della crescita, abbiamo associato il cibo a particolari eventi, situazioni, emozioni e abbiamo imparato a rispondervi e a reagire con il cibo.
Ora riesce difficile credere che possa esserci tutta questa difficoltà circa l’atto del mangiare, ma abbiamo reso tutto complesso un atto elementare: pensiamo al cibo come ricompensa, come sacrificio, come punizione, e mai come nutrimento.
Per troppo tempo abbiamo ignorato i segnali del corpo, e per troppe volte abbiamo detto “da domani a dieta”.
La mindful eating non dà una dieta, non dice cosa sia giusto mangiare, ma con essa è possibile diminuire i pensieri negativi, diminuire il tempo passato a fare cose che non ci piacciono, diminuire il tempo per l’ansia e la rabbia.
Questa dovrebbe essere l’unica dieta che tutti dovremmo seguire imparando ad essere consapevoli e tornando ad essere connessi con noi e con tutto ciò che il corpo ci chiede.