Vi è mai capitato che dopo un litigio siete tornati a casa e avete iniziato ad aprire la dispensa? Vi è mai capitato che dopo essere rientrati a casa dopo una giornata di lavoro aprite il forno, trovate un contenitore con avanzi del pranzo e iniziate a mangiarli, anche rimanendo in piedi in cucina? Vi è mai capitato che durante la preparazione di un esame vi alzate spesso dalla scrivania e iniziate ad aprire e chiudere lo sportello del frigorifero volendo qualcosa da mangiare, ma non sapendo bene cosa?
Ecco, questa non è fame. Questo non è nutrirsi. Questo non è mangiare consapevole.
Siamo sempre più sopraffatti dalle emozioni, e siamo sempre meno abituati a saperle riconoscere ed affrontare. Ci sentiamo continuamente bombardati da stimoli esterni, pressioni sociali, difficoltà quotidiane e quella pesantezza sul petto, quel macigno nello stomaco cresce, giorno dopo giorno.
La nostra capacità di saper fronteggiare le situazioni, le emozioni negative è stata acquisita per condizionamento nel corso del tempo. Abbiamo insegnato al nostro cervello che ad una determinata emozione corrisponde una reazione. La maggior parte di noi ha insegnato al nostro cervello, ad esempio, a mettere a tacere la noia, la rabbia, la solitudine con un pacco di biscotti. Non appena queste emozioni bussano, il nostro cervello apre la porta invitandoci a recarci verso la dispensa.
Quanti di voi fumano? Avete mai fatto caso quando accendete una sigaretta? Dopo il caffè, dopo pranzo, quando siete nervosi…
Ecco, con il cibo funziona esattamente così. Accediamo al cibo quando sentiamo la necessità di volerci sentire coccolati, consolati, appagati o per semplice abitudine. Abbiamo paura delle emozioni negative, ci sentiamo spaesati quando ci sentiamo tristi, arrabbiati, annoiati, soli… e così cerchiamo consolazione nel cibo, con il nostro cibo preferito e, alle volte, proibito e con un contorno di sensi di colpa.
Ebbene sì. Ci siamo mai chiesti perché andiamo alla ricerca di specifici cibi e il motivo per cui il cibo diventa una costante dei nostri pensieri?
Le ricerche dimostrano che i cibi grassi, dolci, salati sostengono nei momenti di particolare tensione, stimolano il rilascio di un neurotrasmettitore, la dopamina, l’ormone del piacere, che interviene per fronteggiare il cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress.
Particolari categorie di cibo vengono ricercate con maggior desiderio quando abbiamo uno stile alimentare troppo restrittivo rendendo desiderabili tutti quei cibi etichettati come no healthy, non salutari, creando così un pensiero ossessivo nei confronti di quel determinato cibo che cerchiamo di evitare con tutte le nostre forze finché non cediamo, alla prima occasione non assaggeremo un pasticcino, ma ne divoreremo uno, due, tre… non assaggeremo una manciata di patatine, ma ne divoreremo un pacchetto intero.
Questa nostra risposta, la maggior parte delle volte, nasconde un motivo più profondo, una sensazione sorda che non siamo in grado di identificare o, ancora, “in cuor nostro” siam ben consapevoli di cosa possa esserci alla base ma non possiamo razionalizzare, esternare, affrontare. È più facile mettere a tacere qualcuno ignorandolo, e così ci comportiamo con le nostre emozioni.
Se le ignoro, è come se non esistessero.
E invece è proprio lì che dobbiamo insistere: dobbiamo iniziare ad ascoltare i segnali che provengono da noi, riconoscere quando si mette in moto quella sensazione di irrequietezza, quella fame – non fame che non riusciamo a spiegare, quel nervosismo, quell’emozione incalzante che ci porta a pensare che in quel momento vorremmo solo mangiare.
È proprio in quel momento che sentiamo il bisogno di quel particolare cibo e finché non l’avremo mangiato non riusciremo a pensare e a fare altro.
Immaginiamo un incrocio senza semafori, senza precedenze, senza rotatorie, lavori stradali, il caos, clacson, pedoni, biciclette che si infilano tra le macchine. Una giungla. Poi, però, immaginiamo un vigile che inizia a dirigere il traffico, i semafori riprendono a funzionare, sono rispettate le precedenze e tutto ritorna a procedere normalmente.
Immaginiamo la nostra mente così: un traffico di pensieri che si scontrano, cercano di passare, vogliono la precedenza, e poi all’improvviso arriva il nostro vigile che inizia a mettere ordine. È il nostro respiro che ci fa ritornare in carreggiata, ci permette di individuare l’incrocio, dove siamo e come procedere. Ci mettiamo seduti sul nostro respiro e rimaniamo con le nostre emozioni, senza suonare subito il clacson per passare, senza agire automaticamente, ma semplicemente aspettando, aspettando che quel caos si plachi e si possa procedere con calma, senza frenesia.
Il cibo non è la marcia giusta, ma dobbiamo imparare quali pedali schiacciare e conoscere il motore se vogliamo mettere in moto il nostro corpo e viaggiare con le nostre emozioni.